lunedì 19 ottobre 2009

a rose is a rose is a rose

Mani tese ad indicare i luoghi, nei passanti, dove risiedono coscienza e carità.
Gli stessi ingredienti, generano una volta cerchi che accarezzano...




...un indiano regala
un sorriso
a una ragazza che regala
una rosa
a un ragazzo che regala
un soldo
a un indiano, che regala
un sorriso...






...e la successiva, forse solo con più freddo e più fame, (o lo svantaggio dell’abitudine), un rinnegar tre volte. Ognuna con quel “no” che esce sempre più ad occhi stretti, senza sorriso.
E pensieri che partono, su paesi che sfruttiamo come un alcoolista il fegato, che poi gli si rivolta contro sganciando metastasi.
La città è anche il regno del no; avrò modo di vedere se e quanto il non esserci nato mi permetterà di scegliere altre posizioni.

lunedì 5 ottobre 2009

La voce della terra

Venerdì, uscito dal lavoro, la mia camminata compulsiva si è diretta verso il Duomo, forse verso il pianista della sera prima in galleria, di certo pronta alle soprese che sembrano un ingrediente fisso nelle ricette delle giornate cittadine.

Un palco ed una voce amplificata mi hanno incuriosito, così che, cercando di capire di che si trattasse, mi son ritrovato in mezzo alla cellula milanese della contemporanea mondiale per la pace, in occasione del compleanno di Gandhi.


Qualcuno dal palco ha intonato una nota, un Do diesis, invitando la piazza a seguirlo. E la piazza ha risposto, aiutata da un coro di bambini. Su quella che dicono sia la nota corrispondente al “suono che la terra emette”. Non so esattamente cosa si intenda, ma so che in quell’istante era una vibrazione che trasformava l’aria in fili, rendendo palpabile il legame tra i presenti.

Metteva i brividi pensare allo stesso suono in così tante città del mondo…
Poi è stata la volta di “Imagine”.

You may say I’m a dreamer, ed in effetti lì in mezzo non c’era da sentirsi soli.

Nel frattempo a Wellington partiva la marcia per la Pace. Chissà se il mio amico Daniel era lì.

Pace

venerdì 18 settembre 2009

Il ciclo del tempo

Un ricordo recente che si proponga con forza, e di cui non si sia mai parlato, è indizio di una chiara omissione quando si stia tenendo un diario di bordo.

Non posso quindi che tornare a qualche giorno fa, all’installazione nell’atrio di palazzo reale con la strana opera di Papetti. Tre tele cilindriche (o meglio a leggera spirale per permettere allo spettatore di entrare) che proiettano in altrettanti mondi: vento, acqua e foresta.

Elementi naturali evocati in mezzo alla città, la cui regolatrice invadenza è stata contenuta e schermata da un tendone scuro, oltre che dalla magia del retro delle inusuali tele.

Chi vi entra, varca una soglia tangibile, che sospende per un poco il senso di metropolitana appartenenza (o alienazione).

Mi sovviene ora quanto ciò costituisca un processo tutto sommato opposto a quello che in valle tentavo: lì in mezzo alla natura ricercavo stralci di ambienti e luoghi che sapessero di città,con la sete di concerti e mostre.

E così mentre a Milano tra strade e infiniti volti trovo ciò che la mia immaginazione dipingeva, in quei tre cilindri si raccolgono in veste onirica dei luoghi spesso vissuti dai miei occhi, senza il filtro del pittore.

Non so se abbia seguito il percorso previsto, né se ne esista uno. Ma dei sei possibili, il mio ha portato ad una graduale separazione di prospettiva dall’autore: nella foresta non c’era nulla. Nel vento, una creatura troppo insostanziale da poter essere considerata univocamente estranea... o tantomeno familiare. Nell’acqua invece tanti volti e corpi ben definiti. E con note ostili.

Oltre, di nuovo, la città.

mercoledì 16 settembre 2009

Huis Clos (a porte chiuse)

Il cielo. Troppo lontano per giudicare l'effetto della pioggia, per vedere se l'umidità lassù dia fastidio a qualcuno.

Un autobus infilato nel budello stitico di via Chiese è un microcosmo più facilmente osservabile. Senza grosse distrazioni, visto che gli umori evaporati dai suoi abitanti schermano di nebbia i cambiamenti di scena, rendendola immutabile nel suo lento divincolarsi tra le auto.

Ciò che resta è silenzio di voci, e odore di gabbia nervosa.

Una signora di mezza età cerca un pertugio liberando un piccolo varco nella condensa. Rifiuta di esser rinchiusa con noi, vuol forse assicurarsi che là fuori ci sia ancora un mondo. L'inferno delle porte chiuse di Sartre in formato semovente e metropolitano.

Ricordando altri mezzi, mi accorgo che il tanto bistrattato treno ha dalla sua il tragitto maggiore, e la solidarietà che spesso si genera tra i compagni che vi si affidano. Ma un bus a fine orario d'ufficio non ha tempo che per lasciare estreanei. Rari gli sguardi che assomiglino ad un sorriso.

E però ho dentro pensieri positivi sufficienti a smettere i panni del mero osservatore, e cercare di di irradiarli verso l'esterno, a partire da quel mondo più piccolo che la pioggia mi ha regalato. Chissà che qualcuno non risponda.

lunedì 14 settembre 2009

Step 2

Si prende possesso di una città solamente misurandola coi propri passi, faticandone le vie, muovendosi con ritmo proprio. Un po' come quando si legge, piuttosto che ascoltare un discorso imposto e affrettato.

Ieri, dopo una piccola mostra di legature al castello, di cui ricordo solo un'aldina delle opere di Virgilio (500 anni e non sentirli), e l'ultimo giorno utile per una collezione di pazzi inglesi al PAC, ho portato i miei sandali fino al Duomo, con lunga pausa sulle note di un ragazzo che con chitarra e voce animava San Babila. La città è palazzi e strade. Le mostre posson essere arte nei palazzi. Ma nella strada, c'era lui.

Note to the reader

vascello...

...e città


L'uno capace sì di stasi, ma così adatto a rappresentare il viaggio...
L'altra che pare inchiodata al suolo da radici di cemento armato; e pure brulica di vita, e si trasforma quanto i costumi della sua gente.



Si fondono per me in una città, Milano, che è l'inizio di un viaggio, di un sentiero che proverò a raccontare in questo blog: soprattutto per me (come sempre quando scrivo), perché poi leggo e mi capisco meglio.

Per non perdermi nei meandri della cartina imprecisa di una città mentale, fatta di scorci incollati, che ancora con quella fisica ha forse un rapporto troppo filtrato dai sogni.

Per ringraziare ciò che mi sta intorno e chi mi ci ha portato.

E se qualcun altro dovesse passare di qui e scorgere questi strani caratteri: benvenuto a bordo.